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Rientrato dal Pakistan da un paio di mesi, l’ambassador La Sportiva e fotografo Dino Bonelli, ci racconta come ha orientato la particolare scelta di scarpe destinate ad un trekking lungo e faticoso ai piedi del Gasherbrun, in cui le calzature sono sottoposte a stress di ogni tipo.
Il suo primo intento era quello di accompagnare un paio di amici al campo base del Gasherbrun vdove, armati degli scarponi d’alta quota Olympus Mons Evo, sarebbe iniziata la loro ascesa al G2 (8035mt). Pur non prendendo parte alla spedizione, sfortunatamente fallita per cause metereologiche, il fotografo piemontese Dino Bonelli ha approfittato dell’esperienza himalayana per immortalare l’arido ambiente del Baltoro, uno dei ghiacciai vallivi più grandi del mondo.
“Sapendo l’aridità e l’asprezza del Baltoro, sul cui ghiaccio millenario risiedono milioni di sassi di ogni tipo, forma e taglia, avevo inizialmente pensato di usare una classica scarpa da trekking ben protetta, oppure la Crossover GTX 2.0 che in situazioni analoghe, come lo è stata per la salita dell’Aconcagua (6963mt) in Argentina, si è comportata benissimo.” spiega inizialmente Bonelli, che dopo aver testato sulle nevi di casa il modello Tempesta, si è ritrovato a cambiare idea sul proprio “compagno di viaggio” in Pakistan.
“Dopo un inverno passato a correre molto nella neve testando l’impermeabilità e il grip di Tempesta GTX, mi sono convinto ad usare quest’ultima, anche perché più bassa delle altre e quindi più adatta ai primi giorni di trekking fuori dall’enorme morena.
Il trekking è stato lungo e faticoso (200km fra andata e ritorno stando sempre tra i 3000 e i 5000 mt di quota) e oltre alla via normale, ci siamo ritrovati ad assecondare un’incredibile susseguirsi di ghiaia, roccia, pietre, ghiaccio, sabbia e poi di nuovo roccia, talvolta tagliente e talvolta sotto forma d’instabili ciottoli, per poi incontrare nuovamente ghiaccio e rigagnoli annessi. Aggiungo il fatto che il mio istinto da fotografo mi ha spinto a fare alcune deviazioni che mi permettessero di avere un buon campo visivo sulle immagini che andavo a scattare, e quindi ad allungare il percorso con piccole scalate e ulteriori ostacoli da oltrepassare.
La mia scelta è stata azzeccatissima, sia per la tenuta della suola, ottima in tutte le differenti occasioni, sia per l’impermeabilità della tomaia che a vote è stata a contatto nelle gelide acque dei rigagnoli per ore ed ore, per non parlare della resistenza generale di materiale e cuciture che sembrano non aver patito il colpo… Colpo invece accusato dalle mie gambe che seppur discretamente allenate, verso la fine della discesa incominciavano a dare i primi segni di stanchezza. Durante i 9 giorni del trekking, in cui la maestosità del K2 è stato l’apice del bel godere, il tempo è stato mediamente bello, ma durante la discesa un paio di acquazzoni trasformati in tempesta da raffiche di vento gelido, ha ulteriormente inviscidito il già precario calpestio del nostro tragitto, trasformando le pietre e il ghiaccio in lucidi e sdrucciolevoli trabocchetti. Proprio in questi momenti, quando l’asprezza e la scivolosità del terreno erano ostici intralci da superare con destrezza, ho capito da dove derivava il nome dell’insuperabile scarpa che avevo ai piedi: “Tempesta” appunto.”
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